La biologa marina, fra i premiati Rolex, porta avanti un progetto che studia i coralli cresciuti in zone torbide e acide, sperando di poterli trapiantare dove c’è bisogno

Fra acque buie eccola lì, all’improvviso, che spunta la speranza. Ha la forma di coralli “duri a morire”: organismi che vivono e crescono anche in acque poco trasparenti, con scarso ossigeno, lontane da quanto ci si potrebbe aspettare. Fra soli quindici o vent’anni, come indicano purtroppo decine di studi scientifici, potremmo assistere alla scomparsa di larga parte delle barriere coralline del mondo, devastate dallo sbiancamento e dall’acidificazione legati al riscaldamento globale. In soli 3-4 anni un terzo della Grande Barriera Corallina è già andato perduto. La tendenza, con la crisi climatica in corso, sarà dunque quella di assistere al rapido deterioramento di migliaia di ecosistemi marini nel mondo.

Una speranza di invertire la rotta arriva però proprio da certi tipi di coralli particolarmente resistenti che potrebbero essere utili per salvare le barriere coralline. Ne è convinta una giovane biologa marina inglese, Emma Camp, 32 anni, fra i premiati nel 2019 come Rolex Awards Associate Laureates per le sue idee e progetti in difesa della Terra. Emma studia e si dedica proprio a questa sorta di “luogo della resilienza dei coralli”, ovvero zone dove questi organismi riescono a crescere anche in condizioni estremamente sfavorevoli, come per esempio oceani sempre più acidi, acque con basso contenuto di ossigeno e in parte prive di luce.

Condizioni molto simili a quelle di tutti i mari in futuro, dato che i due fenomeni – aumento delle temperature medie e acidificazione – stanno diventando un serissimo problema per gli ecosistemi marini globali, con migliaia di specie già a rischio di sopravvivenza.

Per Camp è fondamentale studiare dunque le caratteristiche di questi coralli resistenti che potrebbero essere la chiave per “ripopolare le barriere coralline” danneggiate e vittime dello sbiancamento. “Al momento stiamo scoprendo i luoghi dove stanno sopravvivendo questi particolari coralli – spiega la biologa sostenuta da Rolex – e dobbiamo capire come e perché sono lì, in punti dove non dovrebbero essere. La nostra idea è quella di utilizzare le loro abilità per aiutare a salvare le barriere coralline a livello globale”.

Le prime ricerche della biologa su questo tipo di organismi risalgono a quattro anni fa quando una squadra di scienziati e subacquei in Nuova Caledonia ha documentato 20 specie di coralli in condizioni precedentemente considerate, da altri studi, quasi impossibili per la crescita di coralli. Lo scorso anno la biologa ha poi pubblicato un primo studio che compara gli habitat corallini scoperti con quelli della Grande barriera corallina australiana.

La sua idea è ora quella di identificare, lungo gli oltre 2000 chilometri della Grande Barriera australiana, zone con caratteristiche simili dove i coralli crescono anche in assenza di acque trasparenti o con temperature stabili: questo aiuterebbe, studiando il comportamento e la genetica di questi organismi ultra resistenti, ad aprire la strada della conoscenza per comprendere i meccanismi della resilienza dei coralli. E magari, sogna Camp, trapiantare questi coralli ultra resistenti per aiutare la Barriera a ripopolarsi.

“Dobbiamo pensare fuori dagli schemi. Dobbiamo tornare alla natura e vedere come è sopravvissuta per così tanto tempo e usare quella conoscenza, unita a innovazione e tecnologia, per cercare di conservare ciò che abbiamo” ha spiegato la biologa.

Ora, in zone come Low Isles e l’isola Howick, Camp e un team di locali citizen science stanno già provando a trapiantare alcuni coralli “duri” per monitorare il modo con cui riescono a sopravvivere o espandersi. Ci vorrà tempo per capire se la sua teoria potrà presto diventare realtà, ma nel frattempo Emma continua ad avere le idee chiarissime: “Non voglio far parte della generazione che dirà ‘abbiamo perso le barriere coralline’. I coralli non sono solo strani e belli, ma supportano anche centinaia di milioni di vite umane. Io continuerò a battermi per loro”.

Fonte: repubblica.it – Giacomo Talignani