LA LIBERTÀ È UN VAN ALLE EBRIDI

20 Apr 2020 In: Scozia

Non avevamo una destinazione fissa, la cosa bella era proprio quella

Scambiato il nostro confortevole letto londinese con un campervan Volkswagen, il mio ragazzo e io abbiamo stipato bagagliaio ed armadietti coi beni per noi più preziosi: cuscini, giubbotti e bustine di tè. Abbiamo preso la prima strada a senso unico (non importava quale), alzato il volume della musica e guidato lungo i campi di erica dorata, fermandoci di tanto in tanto per consentire a pecore sonnecchianti di spostarsi dalla strada e rallentando per scattare foto di spaventapasseri agghindati con giacche catarifrangenti.

La remota costa delle Ebridi Esterne vicino al piccolo villaggio della comunità di Bhaltos @ burgersandbruce

Poi abbiamo svoltato un angolo e l’abbiamo vista. Lì, di fronte a noi, sull’aspra e remota isola di Lewis and Harris delle Ebridi Esterne splendeva la più abbagliante striscia di sabbia: color crema, il bordo estremo lambito da piccole onde verde fluo, i lati fiancheggiati da rocce grigio acciaio. Abbiamo inchiodato, ci siamo tolti le scarpe per correre verso l’acqua gelida: le nostre orme erano gli unici segni sulla sabbia, i piedi i primi a toccare l’Atlantico del Nord quel giorno.

Lasciare quella spiaggia ci sembrava un delitto, non l’abbiamo dunque fatto. Dopo aver parcheggiato su uno spiazzo erboso abbiamo tracannato birra, una lattina dopo l’altra, fino a quando il cielo da cianotico s’è fatto magenta e poi nero stellato. Nessun semaforo, zero traffico, niente segnale. Nessuna preoccupazione, seccatura, stress. E, per una volta, neanche un’anima.

Quella notte ci siamo addormentati al suono del vento che accarezzava l’acqua e delle onde che bagnavano la sabbia. E poi, la mattina dopo, quel tè con una vista che non dimenticherò mai.

Nessun semaforo, zero traffico, niente segnale. Nessuna preoccupazione, seccatura, stress ©7Michael/Getty Images

Il ricordo

A quanto pare
 alcune delle più belle spiagge al mondo
 si trovano lungo la costa britannica che 
ho sempre desiderato lasciare. Ogni giorno ricerco la semplicità, la libertà e la flessibilità che vivere sul furgone
e le ventiquattr’ore
 su quella spiaggia remota vicino al piccolo villaggio di Bhaltos hanno rappresentato.

Fonte: lonelyplanetitalia.it – Hannah Summers

Mosaici, cicogne e bordelli: questa antica città aveva tutto!

Costruita e occupata nel III secolo a.C., Volubilis aveva ospitato fenici, cartaginesi e romani prima di essere abitata dai locali a partire dal 285 d.C.

La città rimase occupata dai cristiani latini, poi dai musulmani e successivamente dalla dinastia Idrisid, i fondatori del moderno Marocco. Nell’XI secolo, fu abbandonata quando la sede del potere si spostò a Fès, e le pietre della città furono saccheggiate per la costruzione di Meknès dopo un potente terremoto nel 18° secolo.

Sotto l’occupazione francese, gli scavi identificarono ufficialmente il sito come la città romana di Volubilis. Gli scavi rivelarono gloriosi pavimenti a mosaico, templi, una basilica, un acquedotto, bagni, cancelli e, come in ogni buon centro storico, bordelli.

Oltre ai soliti uomini berberi che vendono cartoline e “autentiche” monete romane, la città è ora occupata da un nuovo tipo di residente: le cicogne. Quale posto migliore per questi grandi uccelli per costruire i loro grandi nidi che sopra una colonna romana? I lati lisci delle colonne li proteggono da qualsiasi animale terrestre e le loro dimensioni garantiscono una protezione dall’alto. Le cicogne possono essere viste in tutto il Marocco, e spesso nidificano in cima ai monumenti.

Nel 1997, la città di Volubilis è stata designata patrimonio mondiale dell’UNESCO. Una breve sosta per la visita di solito fa parte di un pacchetto turistico, trovandosi sulla strada che va da Meknès a Fès.

Fonte: atlasobscura.com

La nidificazione delle tartarughe in una straordinaria isola alle Maldive

“La Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) classifica gli animali viventi sul pianeta in base a quanto vicini o quanto sono lontani dall’estinzione per consentire alle persone di prendere alcune misure per proteggerli”, ha detto Giorgia Maggioni, Marine Biologist presso Emerald Maldives Resort & Spa. Tutte le tartarughe marine trovate alle Maldive – tra cui il becco di falco, l’olivastra e la tartaruga verde (così come le molto meno comuni testuggine e leatherback) – hanno uno status in “via di estinzione”. “La tartaruga embricata è gravemente minacciata secondo la Lista rossa, il che significa che è molto vicina all’estinzione. Ospitare questa specie specifica di tartaruga che cova qui su quest’isola fa bene all’ambiente, e ne siamo incredibilmente orgogliosi”.

Il processo di nidificazione e schiusa, ha affermato, è una delle parti più affascinanti del ciclo di vita di una tartaruga marina. Sebbene i biologi marini lo studino comunemente, tuttavia, non è ancora del tutto chiaro. Quello che sappiamo è che questi animali hanno una straordinaria capacità di risalire verso la zona precisa in cui sono nati. Questa abilità, chiamata “imprinting”, si verifica durante il processo di schiusa sia nei maschi che nelle femmine e si basano essenzialmente sul campo magnetico terrestre per creare una mappa nel loro cervello. L’abilità di leggere queste mappe mentali rimane con loro per tutta la vita.

“Quello che è successo qui su quest’isola è che un paio di mesi prima della schiusa, una tartaruga marina è arrivata sulla spiaggia e ha trovato il posto perfetto per nidificare”, ha spiegato Giorgia. “Le tartarughe marine sono molto esigenti nel trovare dove nidificare e vogliono trovare il posto ideale per deporre le uova. Hanno bisogno di un posto che sia abbastanza buio e abbastanza lontano dal segno dell’alta marea. Quindi è un buon segno per l’isola, perché significa che l’ambiente è ancora davvero naturale “.

Ha anche espresso la sua eccitazione nell’aiutare queste tartarughe marine, dal momento che solo una su 1.000 tartarughe marine raggiunge l’età adulta. Emerald Maldives Resort & Spa ora può tenere al sicuro i nidi e proteggere le tartarughe marine da potenziali predatori come granchi o uccelli mentre eseguono il loro primo traballante strisciare dall’uovo all’oceano.

“Aumentare la consapevolezza ambientale è sempre stato l’obiettivo più importante per me”, ha aggiunto Giorgia. “Adoro aumentare la conoscenza dei nostri ospiti in merito alla vita marina e renderli consapevoli dell’importanza dell’oceano, perché una volta compreso il motivo per cui è importante, sarai più disposto a proteggerlo”.

Giorgia organizza presentazioni più volte alla settimana sulla proprietà e fa escursioni in barca con gli ospiti per rispondere alle domande sulla vita marina. Presenta inoltre persone ad alcune organizzazioni locali di conservazione, come Marine Savers, Manta Trust e Olive Ridley Project. Poiché le piace associare l’azione all’istruzione, ha organizzato attività di pulizia della laguna per la plastica che potrebbe essere stata lasciata a terra (sebbene Emerald Maldives Resort & Spa non utilizzi plastica monouso, non tutti i resort delle Maldive hanno lo stesso impegno per la sostenibilità).

Emerald Maldives Resort & Spa

Ora il resort ha un nuovo segno di vita che gli ospiti possono ammirare. Giorgia si aspetta che quando queste tartarughe marine matureranno, torneranno e deporranno almeno cinquanta uova durante la stagione della nidificazione, un’esperienza che non dimenticherà presto. Oltre a proteggerli da potenziali danni e ad usare le luci per condurli verso l’oceano, ha detto che non puoi raccogliere le tartarughe marine per aiutarle.

“Senti il bisogno di aiutare la tartaruga anche se non puoi toccarle, altrimenti rimuovi l’imprinting che hanno”, ha detto. “L’unico momento in cui puoi intervenire è se verranno mangiati da un predatore; in caso contrario, puoi solo osservarli e guardarli davvero lottare per raggiungere il mare. Era la prima volta che guardavo schiudersi le tartarughe marine, ed è stato piuttosto emozionante”.

Fonte: forbes.com – Theresa Christine

C’è stato un tempo in cui la Yosemite Valley è stata un brulicare di arrampicatori appassionati. Succede ancora oggi, direte voi, eppure è diverso. Sul finire degli anni Sessanta e per tutto il decennio dei Settanta, il granito di Yosemite ha visto passare una generazione incredibile di ragazzi “sporchi”.

Degli hippie dell’arrampicata, disposti a tutto pur di vivere cogliendo l’opportunità di scalare a tempo pieno. Occupavano ogni spazio possibile della Yosemite Valley, dormivano in macchina o nelle grotte naturali, senza mai perdere di vista l’impressionante parete di El Capitan. Il loro sogno, il motivo per cui hanno deciso di rinunciare a tutto e andare a vivere in modo così semplice. Un enorme monolite granitico dove corre una vertiginosa parete alta mille metri. Una delle più estreme sfide dell’arrampicata. La più dura esperienza che una parete possa offrire a un climber. Ritenuta per molti anni inscalabile, nel 1958 compare un primo tracciato: The Nose. Salita da Warren Harding, Wayne Merry e George Whitmore in  uno stile tutt’altro che pulito è la via che da il là all’evolversi della storia di Yosemite. La prima pennellata che avrebbe trasformato El Capitan in leggenda. La sfida lanciata da quella immensa parete granitica attrae ai suoi piedi i climber più appassionati, quelli disposti a tutto pur di vivere arrampicando. Inizia così a crearsi una comunità fatta dai migliori climber al mondo. Pionieri delle big wall che si radunano nel celebre Camp 4 allenandosi, imparando gli uni dagli altri, condividendo idee, sogni e progetti. Testandosi sulle pareti dell’Half Dome e di El Capitan alla ricerca della propria linea. Inizia così un periodo pionieristico in Yosemite: si tracciano nuove vie, le si ripetono con uno stile sempre più pulito, si cerca la velocità e si infrangono record. Nel frattempo si crea una comunità, quella dei dirty beggars, che vive ai piedi della grande parete. Tra questi compaiono nomi leggendari come quello di Yvon Chouinard, che produce e vende chiodi per mantenersi. Si sta scrivendo un pezzo di storia che non sarebbe mai esistito senza persone motivate a uno stile di vita così alternativo.

Gli anni Novanta e la fine del dirty bagging

Questi arrampicatori erano veramente scatenati, forse, un po’ troppo. Il loro stile di vita, ai margini della società in breve diventa un problema per la gestione del Yosemite National Park. Sono fuori controllo e per questo viene messo al bando il dirty bagging. Inizia così un periodo in cui si gioca a guardia e ladri. Da un lato i ranger del parco che devono far rispettare le regole, dall’altra parte gli scalatori che non sono intenzionati a rinunciare al loro stile di vita. Inizia così una vera e propria guerra dove i climber escogitano sempre nuove strategie per sfuggire al controllo dei guardia-parco mentre loro devono continuamente ingegnarsi per riuscire a scovarli e bandirli. Anche camp 4 cambia, le regole si fanno più restrittive e non è più possibile campeggiare per oltre due settimane consecutive. Si frantuma così la comunità dei dirtbags, senza più un centro di ritrovo, senza la possibilità di bivaccare ai piedi della parete, tutto cambia. Il senso di appartenenza si affievolisce. I più combattivi reggono, continuano a frequentare con il loro stile Yosemite. Parliamo degli anti-eroi come Cedar Wright, Royal Robbins, Chris Pratt, Jim Bridwell, John Long e Fred Beckey, l’ultimo vero dirty beggars.

Le nuove generazioni di climber continuano a fare la storia su El Capitan, ma non sono come i pionieri. Non imparano più a scalare come gli stonemasters (i maestri della roccia) di un tempo. Si impara nelle palestre, lontano dalla storia. Il passato lo si incontra solo dopo, dopo aver raggiunto grado e sicurezza di movimento per poterlo approcciare. Ci si allena con metodo e strategie diverse, si studia prima di scalare. Non è una critica al mondo delle palestre, che hanno permesso di formare nuove generazioni di arrampicatori dalle capacità impensabili un tempo quindi, ben vengano. È semplicemente la fine di un’epoca che ha aperto le porte a un nuovo periodo, più maturo.

Fonte: montagna.tv – Gian Luca Gasca

TRE CHIAVI PER CAPIRE JEREZ DE LA FRONTERA

18 Apr 2020 In: Spagna

JEREZ DE LA FRONTERA – DESTINAZIONI COSMOPOLITE DA SOGNARE
Per arrivare al cuore di Jerez, adesso però con la mente, questi sono i tre elementi che devi conoscere

IL VINO

Il vino Jerez o Sherry rappresenta uno dei simboli di questa città che insieme a Sanlúcar de Barrameda ed El Puerto de Santa María formano “Il Triangolo dello Sherry”. La loro ottima posizione geografica vicina all’Atlantico e l’eccezionale tipo di terreno (tierras albarizas) sono gli ingredienti essenziali per far maturare la delicata varietà dell’uva “Palomino”.

I CAVALLI

Il cavallo è stato protagonista a Jerez sin dai tempi antichi. Nonostante, furono i monaci della Certosa di Santa María de la Defensión i quali, dopo un lungo processo di selezione equina, crearono nel XV secolo la razza Cartujana (certosina), una delle più note e apprezzate al mondo. Ogni anno, a maggio, Jerez diventa una festa con la Fiera del Cavallo, dichiarata d’Interesse Turistico Internazionale.

PATRIMONIO

3.000 anni di storia fanno di Jerez de la Frontera un luogo che offre un’ampia varietà di stili architettonici rendendo la città degna di ammirazione. Infatti, il suo patrimonio è sempre rimasto nascosto all’ombra dei vini, dei cavalli e del flamenco; quindi merita di essere osservato con grande stupore. Non a caso il suo centro storico è stato dichiarato complesso storico-artistico nel 1982.

Cosa vedere?

Jerez è una delle località più nobili della provincia di Cadice che unisce l’aspetto signorile dei palazzi aristocratici con l’aria popolare delle case tipiche dell’Andalusia.

L’Alcázar o fortezza risale al XI secolo ed è una testimonianza dello splendore della città in epoca araba. Da non perdere sono la Corte d’Armi, la Moschea (trasformata in una cappella per volontà di Alfonso X nel 1264), i Bagni Arabi e i Giardini, un autentico spettacolo visivo. All’interno dell’Alcázar si costruì il Palazzo Villavicencio nel XVIII secolo. Di stile barrocco, ospita una Camera Scura dalla quale è possibile scorgere la città senza essere notati.

La Cattedrale di San Salvador si trova nella Piazza de la Encarnación ed è il principale simbolo cristiano. Questo gioiello architettonico dal XVII secolo combina elementi gotici e barocchi. Spiccano “La Virgen Niña” di Zurbarán, il “Cristo de la Viga” e gli Stalli del Coro.

La Piazza de la Asunción racchiude diversi monumenti di interesse storico come la Chiesa di San Dionisio (patrono della città) dal XV secolo e di estetica mudejar; il Cabildo Viejo, dal XVI secolo, è uno dei migliori esempi del rinascimento locale con una ricca decorazione iconografica della facciata; e la Torre de la Atalaya inizialmente costruita nel 1012, poi ricostruita nel XV secolo.

I Chiostri o Claustos de Santo Domingo provengono da una fortezza araba che il re Alfonso X diede ai monaci domenicani nel 1264. Questi ampliarono gradualmente l’edificio, terminando l’opera dei chiostri nel 1595, in stile gotico.      

La Certosa o Cartuja de Santa María de la Defensión (Madonna della Difesa) si trova a 4km da Jerez, ma vale davvero il viaggio. È considerato uno degli edifici di maggior pregio artistico della provincia di Cadice. Stile gotico, rinascimentale e barocco si fondono armoniosamente, dando vita a questo meraviglioso monastero che risale alla metà del XV secolo. Spiccano per la loro bellezza il Portico di Entrata, la Cappella della Madonna della Difesa, il Patio de los Arrayanes, il Chiostro de los Legos e il Patio dei Gelsomini.

Cosa mangiare?

La cucina tipica di Jerez de la Frontera è una testimonianza della sua lunga storia dove gli abitanti che si sono succeduti nel tempo hanno lasciato l’impronta.

Tra i piatti tipici possono gustare l’ajo caliente, gli alcauciles (nome di origine araba dei carciofi) e i chicharrones. L’ajo si cucina con una base di pane raffermo, pomodoro, peperoni verdi, olio e aglio mentre i chicharrones sono salumi tipici.

Il pesce è un altro protagonista della gastronomia jerezana e non solo fritto, ma anche stufato e fresco vista la sua prossimità al mare.

Infine, la sua cucina è sempre accompagnata dall’ampia varietà dei vini locali per l’elaborazione delle diverse ricette. Carne, pesce e frutti di mare vengono deliziosamente cucinati al Jerez, o alla jerezana, quindi aggiungendo vino locale; un piacere degno della degustazione più critica.

Cosa fare?

Il flamenco è altro elemento caratteristico della città andalusa. Jerez de la Frontera è considerata a pieno titolo la culla del flamenco visto che vi risiedono le scuole più prestigiose e di antica tradizione. Il Barrio di Santiago è il centro della tradizione flamenca cittadina. La chiesa di Santiago (XV secolo) conserva la preziosa imagine di Nuestro Padre Jesús del Prendimiento. Nella Piazza di San Juan è situato il Palazzo Permantín, antica dimora dell’aristocrazia locale, che oggi ospita il Centro Andaluso del Flamenco. Ogni anno il Festival di Flamenco circonda le strade di danza, musica e arte.

Il Palazzo del Tempo è un interessante museo che alberga oltre 300 orologi dal XVII al XX secolo, alcuni provenienti dai vari paesi europei. Una delle particolarità di questo spazio è che tutti gli orologi sono sincronizzati tra di loro e funzionano perfettamente.

Per gli amanti di auto e moto, e non solo, il Circuito di Jerez si presenta come una tappa obbligata in questo viaggio. È la sede del Gran Premio di Spagna del Mondiale di Motociclismo che, dal 1987, si tiene ogni anno a maggio. Offre la possibilità di conoscere le strutture grazie ad interessanti visite guidate.

Da non perdere è la visita guidata a una delle circa 20 antiche bodegas (cantine) che si trovano in città per approfondire la conoscenza del processo di produzione dei diversi vini e il tradizionale sistema de criaderas y soleras e assistere a uno spettacolo di balli equestri a ritmo di musica che si possono vedere alla Scuola Reale Andalusa di Arte Equestre, una delle più importanti scuole di equitazione.

Cosa comprare?

La città vanta di un centro urbano vivace e divertente dove lo shopping diventa un’attività alquanto gradevole.

La Calle Larga è il centro commerciale e nevralgico di Jerez. Comprende negozi prestigiosi e tante terrazze di bar e ristoranti dove assaporare una gustosa tapa accompagnata da un buon vino. Le vicine Piazza del Arenal, la più rappresentativa della città, il Mamelón, la Placita del Banco e la Piazza Plateros sono altri spazi da visitare e, nelle strade che portano agli stessi, il turista sicuramente scoprirà il negozietto giusto dove acquistare un piccolo regalo, un prodotto artigianale o qualche delicatessen.

Jerez ti aspetta pazientemente a braccia aperte. Nel frattempo, resta a casa e serviti di questa newsletter e della tua immaginazione per sentire un meraviglioso viaggio che presto verrà la sua luce.

Fonte: tourspainit.makeyourboard.com

ALMERÍA: LA GRANDE SCONOSCIUTA

18 Apr 2020 In: Spagna

Tre chiavi per capire Almería: per arrivare al cuore di Almería devi conoscere questi tre elementi

ESSENZA ARABA

Durante il periodo musulmano Almería raggiunse il suo massimo splendore. Il primo Califfo di Córdoba, Adb al-Rahman III, nell’anno 955, dà al borgo marittimo di Al-mariyyat-Bayyana la categoria di medina o città, attratto dal posizionamento strategico della baia come punto di difesa della costa. Ciò attirò i commercianti convertendo Almería in una delle città più popolate della Penisola Iberica. Questo passato bellicoso e commerciale è ancora presente.

ATMOSFERA CINEMATOGRAFICA

Almería è stata la location cinematografica prescelta da grandi registi come David Lean, Steven Spielberg e Sergio Leone, suggestiva per la varietà dei suoi paesaggi che variano da scogliere ricche di leggende marine a montagne e persino a un vasto deserto. Scelta anche per la luce speciale di questa zona della Spagna. La città di Almería ha ospitato anche le riprese di tante scene di film, il più recente “Il Trono di Spade” che ha utilizzato come scenario l’Alcazaba.

SPIAGGE INFINITE

In provincia di Almería si trovano oltre 200 chilometri di litorale con belle spiagge e cale perfette per fare il bagno. In questa zona è garantito per tutto l’anno un clima mite. Ci sono diverse zone interessanti da visitare: Poniente (con complessi turistici dotati di comfort per trascorrere una splendida vacanza), la città di Almería, Cabo de Gata-Níjar e Levante (con incantevoli spiagge alcune ancora vergini). Vi colpirà la varietà dei paesaggi tra i quali spiagge deserte con fondali cristallini, zone di boschive mediterranee e zone desertiche.

COSA VEDERE?

L’Alcazaba, imponente e visibile da ogni punto della città, si cominciò a costruire nell’anno 955 per volere di Adb al-Rahman III, a seguito della fondazione della città. Questo palazzo reale è, dopo l’Alhambra di Granada, la costruzione musulmana più grande della Spagna, con un perimetro murato di 1430 metri.  La torre di vigilanza si trovava nella parte più alta del Cerro dell’Alcazaba.

La Medina: è il nucleo originario della città. Adb al-Rahman III la fece chiudere, iniziando la costruzione dell’Alcazaba per la difesa ed una grande moschea. Dall’Avenida del Mar alla via de la Reina si estendevano viuzze (non più di 3 metri) attraversate da strade secondarie, ancora più strette e tortuose, che ora invitano i turisti a perdersi spensierati assaporando secoli di storia nei suoi dintorni.

Gli Aljibes Árabes, in via Tenor Iribarne, risalgono al secolo XI quando il re Jayrán ordinò la sua costruzione per l’uso pubblico visto che in città mancava una rete di approvvigionamento dell’acqua. Se ne conservano tre navate comunicanti, di 15 x 3,5 m, con un volume di acqua contenuto di 630.000 litri, sufficiente per rifornire la città al momento degli assedi.

La Cattedrale: è un’altra meta obbligata per tutti i visitatori. Nel 1522 il vescovo Fray Diego Fernández de Villalán decise la sua costruzione dopo che un terremoto distrusse completamente la precedente. Dà le sembianze più di una fortezza che di un tempio, questa è la sua particolarità. Utile sia per la preghiera che per proteggere la popolazione dagli incessanti attacchi dei pirati berberi. I solidi contrafforti, grosse mura, carenza di vetrine mostrano già un’idea della sua utilità. Nelle vicinanze si trovano il Convento de las Puras e il Palazzo Episcopale.

Il “Cable Inglés”: Eredità dell’attività mineraria che si svolge durante i secoli XIX-XX. Lo sfruttamento delle miniere di Alquife (Granada) e delle montagne della provincia avevano la loro finestra commerciale nel porto almeriense conducendo la ferrovia fino al mare. Così, il caricatoio di minerale (ferro) si trova sulla spiaggia di le Almadrabillas, accanto al molo di levante. Inizialmente era proprietà della compagnia mineraria inglese “The Alquife Mines Railway Limited” che cominciò a costruirlo nel 1902, pur essendo un esempio di Architettura del Ferro degli inizi del secolo XX. Composto da due parti: l’accesso che unisce la stazione ferroviaria con il caricatoio, e il suo molo ove i treni potevano scaricare direttamente nella stiva.

Piazza della Costituzione: anche chiamata Piazza Vecchia, è la piazza più antica della città, dove si respira un’atmosfera carismatica, essendo centro popolare di giochi, feste. In epoca musulmana era una piazza irregolare dove si svolgeva il mercato, raggiunge il suo aspetto definitivo nel secolo XIX, con portici e abitazioni a due piani. La piazza è presieduta dal municipio (fine XIX – inizio XX), il cui orologio della facciata suona la popolare melodia del Fandaguillo di Almería ogni quarto d’ora, e gli accordi completi nelle ore in punto.

COSA MANGIARE?

Almería è stata eletta Capitale Spagnola della Gastronomia 2019, titola che ispira eccellenza nei prodotti e varietà di ricette che combinano tradizione e modernità.

La sua particolare ubicazione, fra il Levante e il Sud spagnolo, arricchisce la sua cucina con elementi comuni ai suoi vicini mediterranei ma allo stesso tempo unici. Inoltre, il tardivo decollo economico favorì la scarsa alterazione degli usi e costumi culinari, con i quali la cucina tradizionale viene mantenuta viva. Da sottolineare fra questa: Migas; i Gurullos, per chi non vuole dimenticare la pasta neanche in vacanza, questa è una specialità almeriense che si prepara con coniglio e lumache, oppure con polipo e calamari o il Cherigan. Per i più golosi, i Pebetes, che si servivano soltanto nei matrimoni e dove la farina, lo zucchero, le uova e il miele sono i protagonisti di questa meraviglia per il palato. Il gambero rosso è una delizia da non perdere, gustabile in ogni momento e in mille modi diversi.

Bisogna passeggiare per assaggiare tranquillamente queste delizie. Camminare per le strade almerienses e lasciarsi inebriare dalla luce e calore che irradiano.

COSA FARE?

Almería è una città attiva dove musei, teatri, attività nautiche sono sempre alternative fattibile. Sicuramente la prima cosa da fare in luogo sconosciuto è scoprire la città, i suoi vicoli e le sue arti, senza dimenticare mai di scambiare qualche parola con gli abitanti per capire la gentilezza e il garbo che li caratterizza.

Le strade pedonali del centro storico permettono il contatto con i resti patrimoniali, testimoni di secoli di storia, mentre che le sue statue e sculture abbelliscono gli spazi con la loro presenza statica ma affascinante. Ad esempio, “La Espera” a Piazza di San Sebastián che invita al relax, o “Las Gárgolas” di fronte al Teatro Apolo che “guardano chi vanno a guardare” (cioè gli spettatori del teatro). Entrambi sculture create da Javier Huercas.

I belvederi che circondano la città, offrono formidabili panorami. Nel Barrio (borgo) Pescadería-La Chanca, originariamente borgo musulmano del Aljibe, si trovano i cosiddetti “Barranco de Greppi” e “Cerrillo del Hambre”, raggiungibili dalla via Cara e dalla via del Hospicio Viejo, una delle più singolari.

Dall’Alcazaba scende attraverso il Barranco de la Hoya la muraglia costruita nei tempi del re Jayrán (1012-1028) che arriva al Cerro de San Cristóbal, altro magnifico belvedere che i Templari di Alfonso VII trasformarono in fortezza-cappella dopo la conquista della città nel 1147.

Fonte: tourspainit.makeyourboard.com

Lussuosi o spirituali, i conventi hotel sono perfetti per una fuga dallo stress quotidiano, dimore storiche in cui fare sosta immergendosi nella bellezza

Sono scrigni di tesori e storia e sorgono spesso in contesti naturali di grande bellezza: i conventi e i monasteri sono luoghi di accoglienza e di ospitalità per loro stessa natura. Alcuni, veri gioielli dell’arte ma spopolati dei monaci che li abitavano, sono stati ristrutturati e trasformati in raffinati hotel di charme; altri conservano intatto lo spirito ascetico, all’insegna della pace e del silenzio, offrendo ai visitatori in cerca di raccoglimento, ma anche semplicemente di quiete e serenità, una dimora di fascino in cui si respirano le atmosfere del passato. Eccone alcuni fra i più belli d’Italia.

VOI Donna Camilla Savelli Hotel a Roma

VOI Donna Camilla Savelli Hotel a Roma

Questo ex-convento seicentesco, vero gioiello dell’architettura progettato da Francesco Borromini, si trova nel quartiere di Trastevere, nel cuore di Roma. L’albergo, pluripremiato, conserva la struttura antica del convento; è ancora abitato, in un’ala riservata, da tre monache agostiniane e racchiude anche una pregevole chiesa barocca, aperta al culto. L’atrio e la scala che conduce ai piani superiori sono opera del Borromini e ne conservano intatto tutto il fascino e la bellezza. Del grande Maestro c’è anche una grandiosa sala dagli immensi soffitti a cassettoni e con un coro ligneo, un tempo refettorio delle monache e oggi utilizzato per eventi e banchetti. Dalle grandi terrazze e dalle camere, ricavate dalle antiche celle, si gode uno splendido panorama su Roma, mentre un grazioso giardino interno offre un’oasi di quiete all’ombra di alberi monumentali. Nel sottosuolo dell’hotel si trova una antica grotta romana, che ospita degustazioni di vini e altri eventi.

VOI Donna Camilla Savelli Hotel a Roma
VOI Donna Camilla Savelli Hotel a Roma

Monastero Santa Rosa Hotel&Spa a Conca dei Marini

Si affaccia a picco sul mare sulla Costiera Amalfitana, arroccato su un’alta rupe. Dal XVII al XX sec. fu luogo di preghiera, animato da una laboriosa comunità di suore domenicane di clausura, le stesse che, oltre a efficaci medicamenti, crearono le famose Sfogliatelle di Santa Rosa, tutt’oggi simbolo stesso della pasticceria partenopea. Ristrutturato nel rispetto delle sue radici spirituali e della ricchezza della sua storia, è oggi un esclusivo Hotel fra i più raffinati al mondo, unico per la sua posizione, da cui si gode uno dei più incredibili panorami su Amalfi e la sua Costiera. Premiato come miglior Hotel d’Italia nella Readers’ Choice Awards della rivista americana Condé Nast Traveler, ha 20 fra camere e suite tutte affacciate sul mare, un ristorante stellato (Il Refettorio), una Spa le cui alte volte evocano atmosfere antiche, lussureggianti giardini terrazzati, un orto biologico e una suggestiva piscina panoramica a sfioro sul mare.

Monastero Santa Rosa, Conca dei Marini
Monastero Santa Rosa, Conca dei Marini

Cappuccini Resort a Cologne

Sulle pendici del Monte Orfano nel verde della Franciacorta, in provincia di Brescia, il Convento dei Cappuccini fu edificato nel 1569 su un poggio da cui si domina pianura e vigneti. Ristrutturato con cura, ospita oggi un delizioso albergo di charme ed un eccellente ristorante arredati con mobili d’epoca e raffinati decor, ricercati con spirito collezionistico dalla proprietaria Rosalba Tonelli. Grazie allo scrupoloso restauro conservativo delle preesistenze cinquecentesche, che ha preservato sale, corridoi, caminetti, chiostro, cortili, pozzo, sotterranei si è immersi in suggestive atmosfere del passato. L’invito al relax spirituale e fisico è amplificato dai profumi e dai colori di un lussureggiante roseto ricco di migliaia di piante e dall’amplissimo parco secolare, cornice ideale per romantiche passeggiate tra vigneti e ulivi fino ai resti di una torre romana. Una casa colonica ai piedi del convento ospita la Beauty Farm.

Cappuccini Resort a Cologne

San Francesco del Deserto nella laguna di Venezia

Fra Burano e Torcello c’è la piccola isola di San Francesco del Deserto. Abitata dai Frati Minori sin dal 1230 circa, secondo la tradizione fu rifugio di San Francesco al suo rientro da un viaggio in Oriente. Quest’isola, il cui fascino ha ispirato nei secoli artisti e poeti, è aperta ai turisti per visite storico-religiose, ma anche per gustare la pace e la tranquillità che il luogo offre. A chi volesse soggiornarvi, la Fraternità francescana offre ospitalità per alcuni giorni. Si arriva in acquataxi.

Convento de La Verna

Sull’Appennino Toscano in provincia di Arezzo, immerso nella foresta del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Proprio qui, la tradizione narra che San Francesco ricevette le stimmate da Gesù, durante uno dei suoi periodi di ritiro spirituale. Nella foresteria del Santuario i Frati Minori accolgono i pellegrini in ricerca di silenzio e preghiera. La foresteria dispone di numerose camere, con riscaldamento, servizi e doccia. Il necessario per chi vuole trascorrere un periodo di preghiera. Da visitare le grandi sale quattrocentesche, l’antica farmacia e il laboratorio di spezieria. Sono esposti pregevoli corali miniati del XV° secolo, suppellettili liturgiche, parati e dipinti. Particolare rilievo hanno un bellissimo crocifisso ligneo policromo attribuito a Giovanni Angelo Montorsoli e un busto in ceramica attribuito ad Andrea della Robbia.

Convento de La Verna

Eremo di Camaldoli

Immerso nella pace delle colline toscane, in provincia di Arezzo, è abitato dai monaci benedettini. La comunità, fondata mille anni fa da San Romualdo, segue il motto “hora et labora” e si autogestisce producendo vini, liquori, cosmetici e cosmeceutici. Interessante l’antica Farmacia, con le ricette risalenti al XV secolo; preziosa la biblioteca della foresteria che raccoglie circa 35.000 volumi. L’ospitalità è offerta in foresteria o, per gruppi numerosi, nelle case coloniche.

Eremo di Camaldoli

Abbazia di Farfa

Monumento nazionale dal 1928 per la bellezza architettonica e artistica, il monastero di Farfa, in provincia di Rieti nel cuore dell’antica terra Sabina, è luogo di silenzio mistico, favorito anche dalla natura verdeggiante e rilassante che lo circonda. Gli ospiti vengono accolti nella foresteria monastica che si divide in interna (dentro la Clausura, dove si ospitano solo uomini), ed esterna. Da provare i prodotti erboristici, ma anche le birre, i dolci, vini e liquori prodotti dai monaci che gestiscono l’abbazia.

Abbazia di Farfa

Monastero San Pietro di Sorres

A Borutta, in provincia di Sassari, in una bella posizione sull’alto di un colle, il monastero è sorto intorno a un’antica chiesa, splendido esempio di Romanico, edificata nei secoli XI-XII. La struttura, abbandonata per secoli, venne affidata intorno al 1950 ad una comunità di monaci benedettini, che la riportarono agli antichi splendori. I monaci di Sorres oggi accolgono i pellegrini nella foresteria e condividono volentieri i momenti della loro giornata scandita dai tre momenti fondamentali proposti da S. Benedetto: preghiera, lettura divina e lavoro. Da non perdere la visita al laboratorio di restauro di libri antichi, attivo dal 1970 e molto apprezzato da enti pubblici e collezionisti privati.

Monastero San Pietro di Sorres

Fonte: amp.tgcom24.mediaset.it

Tentare di carpire il segreto della felicità di questo popolo, sarà uno degli esercizi più stimolanti che vi troverete a compiere.

Mentre la maggior parte delle più belle destinazioni del mondo s’interroga su come proteggersi dal turismo di massa, altre, silenziosamente, hanno risposto al problema con scelte politiche rigorose. Come il Bhutan, un pezzo di mondo arrivato nel terzo millennio conservando foreste immense, tradizioni secolari e stili di vita che altrove appartengono a un remoto passato. Per visitare questo eden, i viaggiatori sono obbligati a partecipare a un tour organizzato.

Chorten al passo di Pele La (3.420 m) © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

La macchina del tempo entra in azione nel momento in cui si atterra all’aeroporto internazionale del Bhutan che, non essendo collegato direttamente con l’Europa, obbliga (quasi) tutti a transitare da Kathmandu (dove arriviamo con un volo Turkish Airlines).  Partiti dal nuovo, enorme, futuristico hub di Istanbul, eccoci nel minuscolo aeroporto di Paro, uno dei più pericolosi (meglio dire…emozionanti) dell’aviazione civile, dove la hall degli arrivi pare quasi un antico monastero. E di futurismo non vi è traccia. Il salto non potrebbe essere più grande. Siamo in un’altra epoca, un altro mondo. Siamo in Bhutan.

Tempio sulla collina del Buddha Dordenma © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

Thimpu

Un’auto, un autista e una guida locale che staranno con voi in ogni fase del vostro viaggio. Questo è ciò che vi attende all’uscita dell’aeroporto. In questo Paese, infatti, i viaggiatori indipendenti non sono ammessi, pertanto occorre affidarsi a un tour operator per ottenere il visto, definire l’itinerario (prima di partire) e pagare la cospicua cifra giornaliera minima prevista dal Governo locale. Un territorio ricoperto per il 65% da foreste, abitato da animali strani (avete mai visto un takin?) e un popolo che veste abiti tradizionali.

Raggiungiamo Thimpu, la capitale più anomala che abbiamo mai visitato. Le case sono basse (proibito costruire edifici con più di sei piani), illuminazione pubblica essenziale, niente insegne pubblicitarie di multinazionali a disturbare il panorama. Dimenticatevi le carte di credito e la musica pop, non ci sono semafori perché qui il traffico scorre lento, sia sulle strade che su internet. Insomma, ciò che chiamiamo modernità, qui non è di casa. Chi cerca una fuga dal nostro pazzo mondo, è nel posto giusto.

Thimpu Ciabattini al lavoro nel laboratorio © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

Ci troviamo al mercato del fine settimana. Compriamo incenso, frutta fresca, ridiamo e scherziamo con i commercianti, quasi tutti provenienti dai villaggi circostanti. Sulla colline sorge l’imponente statua del Buddha Dordenma, alta 50 metri, e da qui ci godiamo la superba vista sulla valle. Trascorriamo la giornata mescolandoci tra la folla in preghiera nel grande chorten cittadino (National Memorial Chorten) e visitando il Trashi Chhoe dzong. Gli dzong sono tra gli elementi più caratteristici del paesaggio: bianchi e colossali monasteri-fortezza, elementi centrali nel panorama e nella storia del Bhutan. Ma come sarà la vita notturna, da queste parti? Finalmente senza l’onnipresente guida che ci accompagna, entriamo al Mojo Park, un locale dove si ascolta musica dal vivo e parliamo liberamente con la gente del posto. Sono tutti loquaci, aperti, pacati ma sorridenti. Scopriamo che fumano, anche se nel Paese la vendita di sigarette è proibita, che la birra migliore si chiama Red Panda, che parlano tutti un ottimo inglese e che hanno tanta voglia di raccontarsi. E che dobbiamo imparare a liberarci più spesso dalla presenza della nostra guida.

Un giovane monaco buddista © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

Punakha

Imbocchiamo la National Highway verso est, arrampicandoci fino a quota 3.140 metri. Siamo al passo di Dochu La, dove sorgono ben 108 chorten. Lo sguardo abbraccia sconfinate foreste di pini e, all’orizzonte, le cime più alte dell’Himalaya orientale. Restiamo in contemplazione. Questo sarebbe un posto in cui fermarsi al lungo.

A Punakha, ancora una volta è uno dzong a dominare la scena. Considerato il più bello del Paese, sorge alla confluenza di due fiumi. Ne approfittiamo per fare rafting sul fiume Mo Chu e ammirarlo da questa insolita prospettiva. Il rafting è un’attività che, da qualche anno, si è diffusa anche da queste parti, dove i fiumi impetuosi non mancano. Scendiamo in compagnia dei ragazzi di Lotus Rafting Services e abbiamo l’incredibile fortuna di avvistare il raro airone panciabianca adagiato su un piccolo isolotto. Non a caso, il Bhutan è un paradiso per il birdwatching.

Per niente rari, invece, sono i falli che compaiono un po’ ovunque in questa zona, disegnati sulle case, nelle vetrine dei negozi. Per quanto incredibile possa sembrare, simboleggiano un santo molto amato, tale Lama Drupka Kunley, noto come il “Folle Divino” e passato alla storia per le sue leggendarie imprese sessuali. Si pensa che questo simbolo tenga lontane le forze del male e, guarda caso, aiuti la fertilità.

Ci concediamo il privilegio di una sosta al Como Uma Punakha, un sontuoso boutique hotel, in posizione dominante sulla valle. Legno grezzo, ampie finestre, design minimale e un raffinato ristorante gourmet, sono i suoi principali punti di forza. Strutture di questo livello non sono rare in Bhutan. Tuttavia, la tariffa giornaliera fissa che ogni viaggiatore dovrà pagare per entrare nel Paese, include l’ospitalità in strutture confortevoli e accoglienti ma molto semplici, spesso riscaldate con tradizionali stufe a legna e dotate di un proprio ristorante. Gli hotel di categoria elevata comportano il pagamento di un sostanzioso supplemento sulla cifra giornaliera. I viaggiatori più esigenti dovranno quindi consultarsi con il proprio tour operator prima di partire per selezionare alberghi e ristoranti in linea con le proprie aspettative.

Danze durante il tsechu di Jakar © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

Un tsechu nel Bumthang

Il viaggio verso la regione del Bumthang ci porta ancora più indietro nel tempo, se possibile. Ci attendono circa sei ore di auto per percorrere i 200 km di strada, per lunghi tratti non ancora asfaltata. Ma da queste parti il tempo non scorre in modo lineare pertanto il tragitto, che a volte sembra infinito, procede in una dimensione quasi onirica complice il cielo che cambia repentinamente: ora è azzurro, ora la nebbia nasconde le montagne mentre percorriamo una strada senza guardrail che ad ogni curva si affaccia sulla ripida scarpata.

Superiamo il passo di Pele La (3420 m) circondati dai Monti Neri ed entriamo in una regione magica, misteriosa, tra valli incantate che hanno segnato la storia di personaggi mitici come Guru Limpoche e Pema Lingpa. Il villaggio di Jakar, ci accoglie con un sorprendente profumo di marijuana che qui cresce spontaneamente (ma che nessuno utilizza, pare). Siamo arrivati giusto in tempo per l’inizio dello tsechu, l’evento che rende indimenticabile qualsiasi viaggio in questo Paese. Sono feste intrise di una profonda religiosità buddhista che si svolgono nei cortili degli dzong dove, tra danze in costumi variopinti, maschere e musiche tradizionali, tutta la popolazione si raccoglie per partecipare accoratamente a questi meravigliosi eventi annuali. Fate coincidere il vostro itinerario con uno tsechu e ammirate lo spettacolo di questo popolo in festa.

Un’abitante della valle di Phobjikha © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

La Valle di Phobjikha

Riprendiamo la strada in direzione ovest e superiamo il passo di Lowa La (3360 m). Dopo sei ore al volante, qualche yak sulla carreggiata e una tappa al maestoso dzong di Trongsa, raggiungiamo il villaggio di Gangtey, a quota 2.900 m. Siamo nella valle di Phobjikha, famosa perché qui svernano le gru dal collo nero, una specie in serio pericolo d’estinzione molto amata dagli abitanti. Ma questa valle è popolata anche da volpi, cervi, cinghiali selvatici, capre di montagna. Il modo migliore per godersi flora e fauna, in questa come in altre valli del Paese, è programmare un trekking. Ampie zone del paese sono infatti collegate solo da sentieri, spesso vie commerciali cadute in disuso, percorribili a piedi o a cavallo. Tutto ciò che occorre fare è programmare per tempo il percorso più adatto alle vostre capacità.

Il maestoso dzong di Trongsa © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

A sera, facciamo amicizia con Karma, il cuoco del nostro albergo che, con la luce della luna, ci accompagna in un bar del villaggio. È una precaria capanna di legno, metà mini market e metà bettola, luci al neon e pavimento di terra, stufa a legna, gatti accovacciati e giochi da tavolo. Quattro whisky e un succo di litchi costano due euro ma ascoltare la storia di Karma non ha prezzo: ha vent’anni, arriva dalle (ancor più) remote regioni orientali del Paese, sfoggia un vistoso orecchino (cosa rarissima), lavora sette giorni su sette ed è felice. Saranno il buddhismo, i cieli tersi, un governo che parla di “felicità interna lorda” anziché di “prodotto interno lordo”. Sarà lo scarso impatto (per ora) della comunità globale su questo piccolo mondo antico, sarà la popolazione poco numerosa. Tante ipotesi, tante domande. Tentare di carpire il segreto della felicità di questo popolo, sarà uno degli esercizi più stimolanti che vi troverete a compiere.

La Tana della Tigre © Angelo Pittro/Lonely Planet Italia

Paro. Nella Tana della Tigre

Ancora sette ore di strada per tornare al punto di partenza. La città di Paro, situata a ovest della capitale, non solo ospita l’unico aeroporto internazionale ma anche il monastero più famoso del Bhutan. Si chiama Takshang Goemba e significa “monastero della tana della tigre”. È un luogo tanto leggendario quanto fotogenico, riconosciuto come sito sacro e per questa ragione meta di pellegrinaggio da tutto il paese. Arroccato su uno sperone di roccia che si affaccia su un dirupo di novecento metri, si raggiunge con una piacevole escursione di un paio d’ore a piedi (o a cavallo, fino al punto di ristoro). Il percorso tra i pini dell’Himalaya, i panorami e la vista di cui si gode una volta raggiunto il monastero, a quota 3.000, rendono questo itinerario un’esperienza estremamente suggestiva. Per questo vale la pena considerare di raggiungere la tana della tigre con un trekking di due giorni, pernottando in tenda. Il primo giorno si arriva a quota 3.900 m, accanto al Bumdra Lhakhang, da cui questo trekking prende il nome. Il secondo giorno si raggiunge il monastero in perfetta solitudine, dopo aver vissuto 48 ore indimenticabili nel cuore della foresta. Tenuto conto dell’altitudine, il nostro consiglio è di visitare la tana della tigre alla fine del vostro viaggio, quando il corpo si sarà acclimatato e sarete in grado di godervi al meglio questa escursione.

L’immobilità di questi luoghi regala pace anche al viaggiatore più inquieto. Del resto, in un pianeta sovrappopolato, rumoroso e inquinato, trovarsi in posti così vergini e selvaggi è l’ideale per riconciliarsi con la vita.

Il Bhutan è un piccolo eden. Che Buddha ce lo conservi.

Fonte: lonelyplanetitalia.it – Angelo Pittro

IL MAROCCO DA FILM!

16 Apr 2020 In: Marocco

Il Marocco da film: viaggio nelle location delle pellicole più famose

La sabbia dorata del deserto e le tradizioni millenarie sono da sempre un richiamo irresistibile per le troupe internazionali che scelgono come location di pellicole importanti luoghi come la Giordania o la Tunisia. Da tempo, ormai, anche Dubai ha ritagliato il suo posto in prima fila nei lungometraggi di successo. Il Marocco, però, si candida a diventare la meta preferita da attori e registi che sognano di raccontare una storia con la magia di tramonti con vista su carovane di cammelli e tazze di tè caldo a due passi dalle dune. Saranno i costi diventati più ragionevoli o l’infinità di sfondi possibili, ma il fenomeno è in continuo aumento anche se, in verità, le sue meravigliose città sono state scoperte e utilizzate per i più bei ciak sin dagli anni Trenta.

Film e colossal girati in Marocco
 

  • Aspettando il re: il regista tedesco Tom Tykwer, per “A Hologram for the King” (il titolo originale) ha scelto questo Paese e l’Egitto. La trama racconta di un uomo d’affari che arriva in Arabia Saudita per proporre al capo supremo un progetto innovativo da costruire nel deserto, ma incontrarlo si rivelerà più complicato del previsto.
  • Spectre: una delle avventure più amate di 007 con Daniel Craig come protagonista e Sam Mendes come regista ha avuto una produzione girovaga. Dalle Alpi austriache, infatti, le macchine da presa si sono accese a Roma, fino ad arrivare proprio in Marocco (Tangeri, Erfoud e Ouijda)
  • La regina del deserto: la bellissima Nicole Kidman calca il territorio di Merzouga insieme a oltre 50 attori, 1.500 comparse e 65 tecnici marocchini.
  • Mission Impossible 5: Tom Cruise interpreta ancora una volta l’agente Ethan Hunt e i luoghi scelti per le riprese sono stati Agadir, Marrakech e Rabat. Molte immagini sono state effettuate in particolare sulla Marrakech Highway e al Marrakech Stadium.
  • Exodus: Dei e Re: il film dal sapore biblico di Ridley Scott è ispirato alla storia di Mosè  ed è girato a Ouarzazate.  

Le pellicole mitiche realizzate in Marocco
 
Sono davvero tante. Qualche esempio? L’uomo che sapeva troppo di Alfred Hitchcock, Il Gladiatore, Lawrence D’Arabia e Alexander.

Fonte: ilmessaggero.it

BORNEO MALESE: A TUTTA NATURA!

16 Apr 2020 In: Malesia

Natura incontaminata, flora e fauna rara e una cultura affascinante da scoprire viaggiando in lungo e in largo nei suoi due Stati: Sabah e Sarawah.

Il Borneo Malese è uno dei luoghi con la maggiore biodiversità al mondo, dove è la vegetazione la protagonista assoluta di un microcosmo lontano anni luce dalle nostre caotiche città. Un arcipelago composto da dozzine di isole da scoprire con calma, staccando la spina da tutto, lungo l’area tropicale del Sud-est asiatico. Ha un clima equatoriale e ogni mese ha i suoi vantaggi e svantaggi climatici e paesaggistici. La stagione secca, comunque, va da maggio a ottobre, con forti acquazzoni tra giugno e luglio, mentre quella umida è compresa tra novembre e aprile.

Il Sabah copre la parte settentrionale del Borneo, con la sua curiosa forma a testa di “cane” tra aree montuose, corsi d’acqua, colline e valli fluviali. Il Sarawah è una terra di fiumi, mentre tra i loro confini si trova il Brunei, che rappresenta solo l’1 per cento del territorio. Descrivere lo scrigno di meraviglie che comprende è persino difficile perché i colori, i profumi e la bellezza del panorama sono assolutamente perfetti.

Tra i luoghi da raggiungere con almeno due settimane di permanenza ci sono sicuramente:

Il rifugio degli Orango di Sepilok
La capitale del Brunei, Bandar Seri Begawan con la moschea di Omar Ali Saifuddin
Il Parco Nazionale di Gunung Mulu con i pinnacoli calcarei, nel Sarawak
Le barriere coralline delle Isole di Semporna, nel Sabah
Il Canopy Walk nella foresta, nella valle di Danum, nel Sabah
Sandakan, la città costruita su palafitte
I lussuosi hotel sulla barriera corallina di Gomantog, nel Sabah

Il Borneo, con la sua varietà paesaggistica, è in grado di venire incontro a tutte le esigenze. Si può quindi arrivare da soli, in gruppo, in coppia o in famiglia. Il soggiorno senza problemi è garantito dall’elevato standard degli alberghi, delle strutture mediche, della sicurezza, dei trasporti. Insomma una perfetta scelta “tutto compreso”, con l’aggiunta di un habitat particolare e insolito.

Tipi di itinerari

In Borneo sono tantissime le attività che si possono prevedere e vanno dal rafting, ai tour nella giungla, dalle escursioni giornaliere alle avventure ad alta quota, dal trekking all’arrampicata, fino ai giri in bicicletta, alle immersioni, al birdwatching e al golf. Insomma, a seconda di ciò che si desidera fare, è possibile personalizzare il proprio itinerario.

Uno degli percorsi possibili, potrebbe riguardare ad esempio i parchi nazionali. Tra i più importanti ci sono: il Parco Nazionale di Ulu Temburong, in Brunei che ha inizio sul lungofiume della capitale e permette di viaggiare lungo la rete dei corsi d’acqua, delle mangrovie e della foresta tropicale. Non manca un ponte sospeso dove passeggiare. Il Parco di Gunung Kinabalu, in Sabah: si trova in un nebbioso mondo alpino e si può scoprire sia scalando la vetta del Monte Gunung che restando sulle pendici. Quel che impressiona è l’enorme varietà della vegetazione. Il Parco Nazionale di Bako, in Sarawak è un mix di mangrovie, brughiere e formazioni rocciose lungo la costa.

Chi vuole vivere esperienze adrenaliniche può dedicarsi a: la Valle di Danum che è il luogo più vicino al “cuore del Borneo”, dove avvistare diverse varietà di uccelli e fauna rara. Incontrare gli oranghi è un’altra opportunità (dai centri di riabilitazione, fino alla riserva di Tabin in Sabah). Ancora si possono cercare le nasiche con il loro curioso naso praticamente in tutto il Borneo o dedicarsi a un safari sul fiume.

Chi cerca isole e spiagge deve soffermarsi soprattutto alla zona del Sabah, mentre chi preferisce le grandi città e la cultura può soggiornare nella capitale del Brunei, o a Kuching, la principale città del Sarawak o a Kota Kinabalu, la capitale del Sabah.

Cosa vedere in 15 giorni

Le alternative sono infinite, ma per avere un’idea di insieme di Sabah e Sarawak si può optare per un mix tra città ed escursioni nella natura. In questo caso, una buona idea può essere quella di arrivare in Malesia, a Kuala Lumpur e prendere un volo per Kuching, per scoprire la capitale del Sarawak con i suoi mercati, i templi cinesi, le moschee e i grandi palazzi. Il giorno successivo la partenza è per Batang Ai e lungo il tragitto ci si può fermare al centro di conservazione degli Orang Utan di Semenggok, a Serian, per visitare il tradizionale mercato locale e al villaggio di Lachau.  Al lago di Batang Ai è d’obbligo un giro con una tradizionale “perahu panjang” (barca lunga) verso un villaggio Iban, popolazione indigena del Sarawak, famosi nel passato come cacciatori di teste. Ritornando verso Kuching, dopo uno sguardo alle cascate e ai giardini del parco di Ranchan, si può prendere un volo per Mulu col Mulu National Park tra giungla e natura incontaminata, ma anche grotte di stalattiti e stalagmiti e grotte imponenti come quella dell’acqua chiara con il percorso di acqua sotterraneo più lungo al mondo. E finalmente si parte per la capitale del Sabah, Kota Kinabalu, col suo mercato e la cittadina.

Incredibile, soprattutto al tramonto, il fiume Garama raggiungibile con poche ore di viaggio per scoprire i limitrofi villaggi, le piantagioni e l’ecosistema a mangrovie. Prima di lasciare questo magnifico territorio, ci sono altre escursioni in Borneo che vale la pena di non perdere. In zona c’è ad esempio il Monte Kinabalu, dichiarato nel 2000 patrimonio naturale dell’umanità dall’Unesco per la sua alta concentrazione di biodiversità floristica, nella cui area trascorrere almeno una giornata, tra piccoli villaggi e paesaggi spettacolari. Per chi poi ha ancora tempo a disposizione, l’alternativa può essere quella di prenotare un volo su Sandakan, proseguendo per il Sepilok Forest Center, per visitare il Bornean Sun Bear Conservation Centre, unico centro di conservazione e riabilitazione dove si può ammirare da vicino l’orso più piccolo in natura e anche l’Orang Utan Rehabilitation Centre. Da non dimenticare che i dintorni di Kota Kinabalu, sono ricchi di resort raggiungibili in barca dove trovare lusso e mare cristallino, in circondati da pace e bellezza assoluta.

Fonte: ilmessaggero.it


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