In 15 anni la North Pole Marathon è stata annullata una sola volta per il meteo avverso. Un fatto che parla da sé considerando che si svolge in condizioni di freddo tali per cui ogni altra maratona nel resto del pianeta verrebbe cancellata

Fu questo il motivo delle mie notti insonni la settimana prima della gara. Detesto il freddo, tanto che la sola idea di correre sotto i 15° C mi innervosisce. Ma una corsa nell’Artico sarebbe stata un’esperienza del tutto nuova per la mia carriera di runner. Era il 2014 e stavo per compiere 40 anni: quale occasione migliore per tentare un’impresa estrema.

Il paesaggio innevato del Polo Nord, con il ghiacciaio Svalbard ©Ondrej Prosicky/Shutterstock

Per quanto pericoloso, il Polo Nord è una meraviglia sovrannaturale. Pur essendo intimamente consapevole che faresti meglio a trovarti altrove, ne sei rapito, ti incute rispetto, un po’ come un deserto remoto. È una delle maratone che mi sono rimaste nel cuore (malgrado abbia registrato uno dei miei tempi peggiori) e il Polo Nord è certamente uno dei luoghi più straordinari che abbia mai visitato. Correre, tra l’altro, è stata solo una piccola parte dell’esperienza.

Durante il volo per la Norvegia cominciai a capire perché l’iscrizione a questa maratona costasse la bellezza di 16.000 euro. In qualità di atleta sponsorizzato avevo la fortuna di non dover affrontare la spesa e mi chiedevo chi mai fosse in grado di permetterselo. In realtà si trattava dei soliti noti: consulenti finanziari, broker, runner che corrono a scopo di raccolta fondi e atleti professionisti come me, tutti provenienti da una decina di Paesi diversi. Mi sorprese il desiderio di avventura condiviso. Tutti nutrivano una passione per le esperienze uniche, come questa, e per me fu incoraggiante. Non c’è runner che dopo aver corso una maratona prima o poi non desideri aggiungere un’impresa speciale al proprio curriculum.

Il villaggio di Barentsburg, Svalbard © Rubeus Olivander

Arrivato a Oslo presi un volo per Svalbard, l’insediamento abitato più a nord del pianeta. Qui runner e unità di supporto attendono una finestra di bel tempo per potersi imbarcare su un vecchio aereo russo che li trasferisce 650 miglia ancora più a nord, al Polo.

Il paesaggio visto dall’alto è di un bianco abbacinante. Qui si trova Camp Barneo, una base temporanea con pista di atterraggio che ogni anno viene scavata nel ghiaccio da paracadutisti russi appositamente per la corsa. Giunto a destinazione vidi quale unico segno della presenza umana un gruppetto di tende blu contro un’interminabile distesa di vuoto. Un panorama severo dove si ha la sensazione di trovarsi al Polo Nord solo nel momento in cui si mette piede fuori dall’aereo e ci si trova avvolti nel freddo.

A poca distanza dalla pista sono dislocati i dormitori, la mensa e i servizi igienici, che in questo contesto non sono che un grande secchio foderato da un pesante sacco della spazzatura, chiuso da un sedile di polistirolo (qualsiasi altro materiale rischierebbe di congelare la pelle). Trovai rapidamente la mia branda, sistemai il bagaglio e feci conoscenza con il mio ‘compagno di stanza’, Kolja, un tedesco cacciatore di sponsor per la Formula Uno. Scambiammo due chiacchiere, ma intanto non facevo altro che chiedermi se sarei mai riuscito a correre in queste condizioni.

Il percorso della maratona si dipana su uno spesso strato di ghiaccio e neve crostosa che si sposta sotto i piedi, a temperature che oscillano tra -25° C e -41° C, e prevede cinque giri di un lungo anello per complessivi 42,195 km. Può sembrare assurdo dover ripetere lo stesso giro più volte, ma il motivo è presto detto. Da queste parti aprire una nuova pista è un’impresa ardua e inoltre le zone del campo già spalate impattano meno sulle gambe. Ma soprattutto, in caso di necessità, un percorso di questo tipo mantiene i partecipanti a distanza ravvicinata dal campo, un dettaglio rassicurante. Anche trovarsi molto più avanti, o più indietro, rispetto al gruppo degli altri runner può diventare snervante. Al Polo Nord, eventualità come perdere un guanto o bucare il ghiaccio con un piede possono avere conseguenze pesanti, se non addirittura letali.

Durante la maratona le guardie armate sono incaricate di tenere lontani gli orsi polari © FloridaStock

La maratona prese il via senza troppo clamore e senza spettatori, ad eccezione delle guardie armate russe incaricate di tenere lontani gli orsi polari; il silenzio era amplificato dall’effetto insonorizzante del ghiaccio. Mi sintonizzai sui suoni dell’Artico: la neve che scricchiolava sotto i piedi, la superficie solida che cedeva leggermente sotto il peso dei miei passi.

Il secondo giro si corre sui solchi creati al primo passaggio. Il mio obiettivo era stabilire un record e cercavo di mantenermi al comando. Spesso per superare gli altri ero costretto a uscire dai solchi, avventurandomi su tratti di neve alta fino alle ginocchia.

Giro dopo giro il tracciato si fece sempre più battuto e i chilometri passarono veloci: senza rendermene conto avevo già percorso 18 miglia (30 km). Una volta superata la sensazione di freddo (credetemi, succede) comincia il bello. Con i due terzi della gara nelle gambe cominciai a sentire il bisogno di altro carburante. Mi fermai per assumere un integratore in gel, ma avevo addosso talmente tanti strati che prima di riuscire a portarmelo alla bocca passarono alcuni minuti preziosi. Cercai di allentare la maschera, ma non si mosse: mi si era congelata addosso per via del sudore e del fiato condensato. Le ciglia congelate mi annebbiavano la vista e sollevare anche solo il più piccolo strato dalla pelle mi provocava dolore. Non avevo altra scelta se non infilarmi per qualche minuto dentro un ristoro per riscaldarmi.

L’alba sui fiordi © ginger_polina_bublik

Come rimisi piede sulla neve fui accecato dal bagliore, ma la vista si normalizzò nei giri finali. Sebbene fossi anestetizzato, sorrisi nel momento in cui imboccai l’ultimo terzo della gara, arrancando lungo i solchi ormai perfettamente tracciati.

Con un tempo ufficiale poco oltre le quattro ore vinsi la maratona, la più lenta della mia carriera. Il secondo arrivò un’ora dopo di me. Comprensibilmente non esiste un tempo limite per una gara come questa: se sei arrivato fin qui (e hai pagato per farlo), ti lasciano correre a oltranza, pur entro certi limiti. Il mio tempo fu comunque un record, ma dell’Artico mi rimase soprattutto il ricordo di un paesaggio che non dimenticherò. La maratona del Polo Nord ha cambiato anche il mio atteggiamento verso il freddo: nemmeno tre anni più tardi ho partecipato all’Antarctica Marathon.

Fonte: lonelyplanetitalia.it- Michael Wardian