La maxidiga dell’Etiopia devia il Nilo.
L’Egitto guida la protesta: è scontro

La vicenda è un intrigo internazionale sul quale gli Stati Uniti si sono proposti come arbitro, per ora senza troppo successo. Lo scontro si trascina da anni sottotraccia, ma negli ultimi giorni sta deflagrando.

Al centro della contesa c’è il Nilo, da sempre croce e delizia dell’Egitto: senza il grande fiume non sarebbe mai sorto un impero millenario; senza la fertilità che garantisce, il territorio non avrebbe attirato nel tempo nemici con velleità di conquista.

L’ultimo fronte vede da una parte l’Egitto, appunto. Dall’altro l’Etiopia. In mezzo, non solo geograficamente, c’è il Sudan, che parteggia per Il Cairo ma ha bisogno di Addis Abeba. Il punto è che l’Etiopia da tempo ha pensato di risollevarsi dalla povertà imbrigliando le acque del Nilo Azzurro, che attraversano i suoi confini con una grande diga (la Diga del Rinascimento: il nome non è casuale) con la quale produrre energia elettrica.

L’obiettivo è elevarsi addirittura a potenza regionale vendendo ai vicini la corrente. I lavori sono stati affidati agli italiani di Salini Impregilo. L’Egitto vede il progetto come il fumo negli occhi, perché teme che il deflusso di acque nel suo territorio possa avere un notevole calo. Il Sudan condivide gli stessi timori, ma sa che – in prospettiva – avrà bisogno dell’energia idroelettrica etiope.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed, che lo scorso ottobre è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per gli sforzi per pacificare il conflitto con l’Eritrea, ha detto ai parlamentari di Addis Abeba che «nessuna forza può impedire all’Etiopia» di costruire la diga. «L’Etiopia non ha alcun desiderio di nuocere al popolo egiziano, ha solo bisogno di trarre beneficio dalla diga», ha aggiunto Abiy. Il principio è che al suo interno, l’Etiopia possa fare ciò che ritiene meglio per i suoi interessi.

Principio contestato dall’Egitto in forza di un accordo del 1929 con la Gran Bretagna che concedeva al Cairo il diritto di veto su ogni progetto nella parte alta del Nilo che potrebbe compromettere la sua portata d’acqua. Proprio per prevenire conflitti sulla materia, nel 1999 è stata istituita la Nbi (Nile Basin Initiative) per favorire la cooperazione tra nove Paesi (Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Sudan, Etiopia, Kenya, Sudan, Ruanda, Tanzania); successivamente si è aggiunto il Sud Sudan, e l’Eritrea è solo osservatore. Alcuni di questi Paesi hanno poi raggiunto un accordo quadro di cooperazione, ma una parte non l’ha ratificato, altri poi neppure firmato. Insomma, un guazzabuglio.

Per risolverlo, il Segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha convocato le parti in causa a Washington sperando di mediare.

Però, il confronto non parte con i migliori auspici: il governo di Addis Abeba ha accettato l’invito non prima di precisare che i colloqui «non sono negoziati». Perché l’Etiopia non vuole rinunciare a diventare la centrale elettrica dell’Africa Orientale.

Fonte: ilsecoloxix.it – Giuliano Gnecco